Lo smart working, dall’inglese “lavoro agile“, identifica una realtà lavorativa ormai molto diffusa e che interessa non soltanto gli operatori del settore dell’informatica ma sempre più realtà del mondo bancario e anche manifatturiero.

Per alcuni lo smart working è erroneamente assimilato al telelavoro e in maniera riduttiva viene considerato un mero lavoro da casa. Il presupposto di questa moderna accezione del lavoro vede il dipendente venire valutato non per il numero di ore effettivamente lavorate, ma per i risultati conseguiti. Nel momento in cui questa ideologia viene assimilata, l’ufficio si sposta assieme al lavoratore stesso: da casa, dal bar, dal parco, da qualsiasi luogo lo smart worker rimane in contatto coi datori di lavoro e i colleghi. Il termine smart si riferisce proprio alla possibilità di rimanere facilmente in contatto con la propria attività permettendo al lavoratore di conciliare il lavoro stesso con gli impegni familiari e fare fronte ai cosiddetti imprevisti.

Non solo vantaggi per i lavoratori: anche le aziende che praticano lo smart working hanno riscontrato notevoli pro, dalla possibilità di avere ambienti lavorativi più piccoli a un notevole risparmio in termini di bollette e permessi. Per quanto riguarda la produttività, quando si lavora due giorni la settimana da casa, in media aumenta del 20% (fonte: osservatorio sullo smartwork del Politecnico di Milano).

Pioniera di questa tendenza è stata la tedesca Siemens e va da sé che il primo settore a sposare questo progetto sia stato proprio quello dell’informatica, delle tecnologie e della consulenza. Sulla scia di queste ultime si sono poi inseriti i principali gruppi bancari fino a coinvolgere un po’ tutti settori.

Anche l’Italia fa registrare segnali di incremento di questa pratica lavorativa passando dal 17% del 2015 al 30% nell’anno corrente (fonte: osservatorio annuale della School of Management del Politecnico di Milano): fenomeno che attualmente interessa principalmente le grandi multinazionali.