L’AI (Artificial Intelligence) consiste nella capacità di una macchina d’adattarsi a un determinato contesto formulando strategie risolutive in autonomia: per fare ciò essa agisce traducendo il suddetto contesto in algoritmi – procedimenti formali che risolvono problemi attraverso un numero finito di passi – più o meno complessi, a seconda del livello evolutivo che la contraddistingue.
Il settore AI non è necessariamente connesso alla robotica, in quanto la maggior parte dei robot attualmente in circolazione non abbisogna di software e hardware straordinariamente avanzati. Il discorso cambia dal momento in cui si comincia a parlare di robot di servizio, progettati per interagire con l’uomo comunicando, imparando e collaborando.
Negli ultimi tempi, grazie a una tecnologia sviluppatasi in modo quasi esponenziale, ciò che prima era relegato al mondo della science fiction assume contorni sempre più realistici, attizzando dibattiti di natura etica. Fatto curioso – per alcuni inquietante – accaduto recentemente all’interno del FAIR (Facebook AI Research) riguarda l’anomalia rilevata nel corso di una “trattativa” tra due prototipi AI. L’esperimento si basava sul mettere alla prova la capacità delle due macchine nel portare a termine negoziazioni economiche utilizzando il linguaggio umano. Tutto è filato liscio fino a quando la coppia di computer non ha iniziato a comunicare – e a prendere decisioni – allontanandosi dall’idioma antropico per il quale erano stati programmati, e adoperando un linguaggio sconosciuto ai programmatori stessi. Il test, a quel punto, è stato interrotto e l’anomalia corretta. In ogni caso tale vicenda, documentata e divulgata dagli sperimentatori, ha suscitato l’inquietudine di molti. L’idea che due macchine possano “tramare” a insaputa dell’uomo, infatti, mette in allarme non solo i profani del settore e gli appassionati di fumetti fantascientifici, ma anche personaggi dello spessore di Bill Gates, Ellon Musk, Steve Wozniak e persino Stephen Hawking! Quest’ultimo, per esempio, ha allertato la comunità scientifica evidenziando l’enorme divario presente tra i tempi evolutivi biologici/umani e quelli virtuali/digitali di una macchina che, secondo l’astrofisico, se dotata d’intelligenza e avviata liberamente allo sviluppo potrebbe compiere passi da gigante in lassi temporali ristrettissimi, sfuggendo completamente al controllo e causando danni incalcolabili. Per avere un’idea della portata di tali danni, si pensi a robot forniti della facoltà di auto-ripararsi, auto-programmarsi e auto-riprodursi: congegni capaci di ragionare e agire a velocità di decine, centinaia, migliaia di volte superiori alle nostre. Dispositivi “senzienti”, in grado di prevedere azioni e reazioni umane sfruttando ogni nostro punto debole allo scopo di sottometterci, sfruttarci e in fine, ovviamente, sterminarci. Effettivamente non è difficile da immaginare: letteratura e cinema, da decenni, ripropongono simili scenari in tutte le salse.
Anche Google si è ultimamente espresso a sfavore dell’uso dell’intelligenza artificiale nei “processi decisionali”, ma le sue ragioni sono assai più tecniche. A parere del gigante tech, le scelte basate sull’individuazione automatizzata di pattern all’interno di grandi insiemi non sono neutrali, ma ricorrono a schemi fondati sui pregiudizi stessi che hanno determinato la composizione dei set di informazioni.
Nonostante questi ed altri timori, negli ultimi anni gli investimenti globali sull’AI registrano forti crescite e, per Accenture (multinazionale USA di consulenza di direzione e strategica, servizi tecnologici e outsourcing) entro il 2035 porteranno a un raddoppio annuale dello sviluppo in 12 economie evolute e miglioreranno la produttività fino al 40%.
Proprio Google, nel 2014, ha assorbito la startup DeepMind per 400 milioni di dollari, una delle acquisizioni più significative nella storia del settore. Generosi investimenti anche da parte di Spotify, che ha accorpato diverse aziende specializzate allo scopo di perfezionare il suggerimento dei contenuti e la targetizzazione dei messaggi ADV sulla propria piattaforma. Lo stesso vale per Amazon con i suoi 15 centri di machine learning (uno dei quali a Torino), e eBay con la recente acquisizione di StartUp specializzate nel settore… tutti i più grandi colossi del mercato, insomma, si stanno muovendo in tale direzione.
L’artificial intelligence avanza anche nel mondo della compravendita finanziaria: stando alle previsioni della società di consulenza Tractica, i ricavi ottenuti grazie a software basati sull’AI, nel 2025 raggiungeranno i 60 miliardi di dollari, gran parte dei quali conseguiti mediante operazioni finanziarie. Il funzionamento dell’intelligenza artificiale, abbiamo in precedenza visto, si basa su algoritmi sempre più sofisticati e nel 2016, secondo uno studio compiuto da Aite Group – società di ricerca e consulenza indipendente, con un focus sul business, la tecnologia e le normative e sull’impatto che possono avere sul mercato dei servizi economici – il 66% del controvalore nominale mondiale in azioni è stato scambiato proprio dagli algoritmi; processi ormai in grado di costruire autonomamente sistemi predittivi in tempo reale e scegliere strategie vincenti dinanzi a contesti variabili. Ma non è tutto: la iSentium (startup statunitense fondata nel 2008) ha sviluppato algoritmi AI addirittura capaci di consultare social network come facebook e twitter e, tramite analisi logica, grammaticale e semantica dei testi assegnare valori e punteggi alle nozioni ricavate al fine di stabilire strategie di trading.
Ulteriore sfera d’utilizzo dell’AI in ambito finanziario, è quella dedicata alla scrittura di report: operazione di sintesi eseguita su esorbitanti quantità di numeri e informazioni (bilanci aziendali, dati macroeconomici ecc), svolta abitualmente come “gavetta” da giovani analisti finanziari. Oggi, con l’impiego dei logaritmi, tali report possono essere redatti da un computer alla velocità di migliaia di pagine al minuto.
Ma ciò che è possibile realizzare adesso con l’intelligenza artificiale, è ancora nulla se paragonato ai cambiamenti che grazie ad essa si produrranno nei prossimi 35 anni; questo è quanto emerso dallo studio Harvard e Yale – sull’avanzamento dei livelli di sofisticazione delle macchine intelligenti – di cui si è parlato al ThINK Digital, organizzato a Milano da GroupM con il supporto di The European House Ambrosetti, a cui hanno partecipato alcuni tra i maggiori esperti del settore. Nel 2024 i sistemi AI tradurranno le lingue straniere meglio dell’uomo e nel 2027 condurranno, con maestria superiore a qualsiasi pilota in circolazione, autobus, camion e automobili. Nel 2049 saranno in grado di scrivere avvincenti best seller e nel 2053 effettueranno le prime operazioni chirurgiche in totale autonomia.
Guardando al futuro prossimo, il 2018 sembrerebbe essere per l’intelligenza artificiale l’anno di svolta. Secondo un’indagine IDC (gruppo mondiale specializzato in ricerche di mercato, consulenza e organizzazione d’eventi in ambito IT e TLC) il 28% delle aziende ha già adottato soluzioni di tipo AI, mentre il 41% intende procedere su questa strada entro due anni. Le opinioni riferite a una potenziale perdita di posti di lavoro sono divergenti; il segretario al Tesoro Usa Steve Mnuchin, per esempio, assicura che l’AI non costituirà una minaccia per l’occupazione Americana nel corso dei prossimi decenni, ma al contrario offrirà nuove opportunità lavorative nate dalla collaborazione uomo-macchina. La società internazionale d’assistenza manageriale McKinsey, invece, dopo aver analizzato duemila attività in 820 tipi di lavoro è arrivata a concludere che nel 60% d’essi è automatizzabile almeno il 30% delle funzioni, ma che in ogni caso attualmente le professioni totalmente automatizzabili non superano il 5%. Inoltre, la crescita della produttività data dall’ausilio dell’intelligenza artificiale nei Paesi industrializzati analizzati, fra cui l’Italia, è in grado di salire dallo 0,8 all’1,4% ogni dodici mesi.
L’unica certezza è che la corsa verso AI e automatizzazione è iniziata e, a meno che non venga interrotta da un qualche imprevedibile cataclisma, pare essere inarrestabile.
Lambiccarsi la mente in preda alla paura, giunti a questo punto, risulta assolutamente inutile e deleterio: necessario sarà piuttosto prepararsi ed educarsi, modificando il proprio assetto culturale e lavorativo al fine di sfruttare le rivoluzionarie possibilità di sviluppo che nell’immediato futuro ci verranno offerte.
Marcello Argenti