Da un paio di giorni Facebook ha cominciato a notificare l’avvenuta violazione dei profili agli utenti caduti nella rete di Cambridge Analytica: si tratta di un avviso intitolato “Protezione delle informazioni” con un collegamento per vedere quali app gli utenti hanno usato e quali informazioni sono state condivise con le app stesse. Gli utenti saranno in grado di chiudere le app individualmente o disattivare l’accesso di terze parti. Come reso noto la scorsa settimana, degli 87 milioni di profili violati, oltre 200mila sono italiani. A tal proposito si è pronunciato il Garante della Privacy, per bocca del suo presidente Antonello Soro, puntando il dito nei confronti di Facebook, reo di aver permesso il trasferimento di dati alla società Cambridge Analytica senza il consenso degli interessati, cambiando poi la finalità d’uso. Quest’ultima, come risaputo, era di propaganda elettorale. Secondo quanto dichiarato dal Garante della Privacy, l’Italia chiederà l’applicazione delle sanzioni previste dal nuovo regolamento europeo -GDPR- pari al 4% del fatturato globale della società. Inoltre, l’indagine verrà ampliata alle altre aziende che si occupano di marketing politico che avevano siglato accordi col colosso californiano: il sospetto è che gli account italiani violati siano ben più dei 200mila comunicati. Un altro timore messo avanti dal Garante è che le vittime siano state influenzate su alcuni temi come il razzismo e l’immigrazione: secondo le verifiche svolte dagli analisti dell’intelligence, ci sono stati scambi fra gli italiani profilati da Cambridge Analytica e alcuni finti account che avevano come caratteristica quella di avere la parola “Salvini” nell’intestazione.

Nella mattinata di ieri si è svolto un incontro a Bruxelles tra i Garanti europei per la Privacy con lo scopo di fornire i risultati dei controlli svolti a livello nazionale, ma soprattutto per decidere le mosse da compiere. A livello italiano, con buona probabilità verrà ampliata la task force che era già stata costituita per verificare le informazioni degli utilizzatori di WhatsApp da parte di Facebook. Ricordiamo a tal proposito che si tratta di due piattaforme che appartengono alla stessa società, ma nonostante ciò è stato riscontrato in molti casi che lo scambio di dati tra WhatsApp e Facebook era stato attivato senza il consenso esplicito degli interessati, coinvolgendo anche persone che non si erano mai iscritte a Facebook ma avevano solo registrato il loro numero di telefono su WhatsApp. Rimane dunque il solito tasto dolente: la mancata consapevolezza delle condizioni d’uso di questi strumenti e della destinazione finale e intermedia di quanto vi viene riversato quotidianamente. In attesa dell’erogazione delle sanzioni (il GDPR sarà esecutivo il prossimo 25 maggio) sul tavolo europeo è già in discussione il problema dei criteri da applicare: la linea prevalente è quella di procedere tutti assieme, in modo che sia l’Unione Europea a far valere le proprie ragioni. L’unica cosa che rimane da stabilire è se le multe debbano essere contestate dalla Gran Bretagna -paese dove ha sede la Cambridge Analytica- o dall’Irlanda -dove invece si trova la sede di Facebook in Europa.

Secondo le dichiarazioni di Christopher Wylie, l’analista di Cambridge Analytica che ha reso noto l’illecito, l’Italia sarebbe stato l’unico paese ad aver lavorato con la società britannica e che probabilmente un partito politico possa essere stato favorito proprio grazie alla propaganda effettuata attraverso Facebook. Di fronte a tali pesanti dichiarazioni sono scattati subito i controlli dell’intelligence e della Polizia postale, dai quali al momento sono emersi finora almeno cinque profili falsi creati per scatenare il dibattito o inviare messaggi sui temi “caldi” della campagna elettorale, soprattutto l’immigrazione. Fare delle accuse vere e proprie al momento è ancora presto in quanto secondo gli analisti questi profili potrebbero essere stati creati addirittura per danneggiare il partito e saranno necessari ulteriori controlli per stabilire che tipo di influenza ci sia stata sugli utenti e se essa possa essere stata tale da influenzare il voto.

Sara Avanzi