Così come nel corso del ventesimo secolo l’utilizzo dell’elettricità su vasta scala ha apportato nel mondo cambiamenti a tutti i livelli, lo stesso sta facendo Internet negli ultimi anni, specialmente dopo l’avvento della banda larga e ultralarga. Senza internet, infatti, non potremmo parlare di smart industry, smart city, né tanto meno di smart working, argomento che tratteremo in questo articolo. Di cosa si tratta precisamente? Smart working significa “lavoro agile” e, in Italia, con l’entrata in vigore della legge n. 81 del maggio 2017 -contenente le “Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato”- è considerato un contratto lavorativo a tutti gli effetti, copertura antinfortunistica inclusa.

Concettualmente lo smart working è rappresentato dalle attività non imprenditoriali che possono essere svolte autonomamente non solo da casa -come nel caso del telelavoro- ma ovunque, fornendo al dipendente una grande libertà di tempistica e organizzazione. Un accordo di tal genere presuppone ovviamente -anche e soprattutto a livello legislativo- una sorta di “patto di fiducia”, per cui se l’impresa s’impegna a dotare il dipendente della strumentazione necessaria ad agire in totale autonomia, quest’ultimo assicura, in rispetto alla fiducia concessa, un corretto svolgimento dei compiti assegnatigli. Tutto ciò ha la finalità di conciliare esigenze lavorative e private, incrementando la produttività individuale e, conseguentemente, la competitività aziendale. Ma affinché lo smart working consenta di raccogliere frutti concreti, è indispensabile avvenga un cambiamento che coinvolga e sviluppi vari aspetti interpersonali, strategici e logistici dell’impresa stessa. Essenziale anzitutto la fiducia del manager verso il collaboratore, coinvolto e responsabilizzato ai massimi gradi. Non essendoci poi un costante contatto “diretto” tra titolare e dipendente, sarà di vitale importanza imparare a lavorare per obiettivi che andranno definiti, assegnati e portati a termine entro scadenze programmate. Il manager dovrà essere pronto a gestire a distanza, in modo separato, interi team di collaboratori e questi, dal canto loro dovranno dimostrarsi capaci d’organizzare le proprie attività in un’ottica “libera”, ma caratterizzata da un orientamento ai risultati più “spinto” rispetto a quello presente nel lavoro tradizionale.

Secondo un recente studio a cura dell’Osservatorio della School of Management del Politecnico di Milano del 2017, lo smart working è già diffuso in Italia solo nelle grandi aziende (nella percentuale del 70%), ma incontra resistenze e ostacoli a svilupparsi nelle medie e piccole imprese (percentuale di diffusione del 5%). Lo studio evidenzia come le imprese che hanno adottato progetti di smart working abbiano migliorato la propria performance, produttività, competitività e i servizi erogati. Dati confermati dallo studio Work-life balance and flexible working arrangements in the European Union, pubblicato da l’Eurofound di Dublino, secondo il quale nel nostro paese solo il 7% dei lavoratori ha la possibilità di svolgere il proprio servizio -occasionale o stabile- da location che non siano quelle imposti dall’azienda. Percentuale che si moltiplica per due in Spagna e Germania, quadruplicandosi in Francia fino ad essere cinque volte maggiore nei paesi scandinavi, dove lo smart working abbraccia già un terzo della forza lavoro.

Marcello Argenti